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Che cos’è la legalità?

Bisogno e libertà: e in mezzo l’inesausto interrogarsi dell’uomo intorno al bene e al male. In questo spazio Dostoevskij organizza il dialogo tra Ivan Karamazov e suo fratello Alëša, dentro il quale si inserisce il monologo (una requisitoria contro Gesú, tornato tra gli uomini) del Grande Inquisitore: cos’è bene per l’uomo? Provvedere ai suoi bisogni, materiali e morali, oppure, come ha fatto Gesú, lasciarlo solo al cospetto del male, in balía della piú annichilente libertà?
Ivan, l’intellettuale destinato alla follia, ossessionato dal problema della sofferenza degli innocenti, spinge la bestemmia, l’estrema negazione, fino alla visione di una tirannide metafisica, indiscutibile e sovrumana. Il parricidio lo riconduce alla necessità di avere un padre che dispensi la legge e regoli l’infrazione. Alëša, il puro di cuore, come Gesú, tace. Bacia il bestemmiatore. Da dentro l’ortodossia, continua a sperare nella libertà. Come Gesú, continua a credere nella capacità dell’uomo di rifiutare, se il prezzo è la libertà, il miracolo della soddisfazione di tutti i bisogni (e quindi la giustizia?).
Tra soddisfazione dei bisogni e aspirazione alla libertà si colloca la legalità, che è quello stesso interrogarsi sul bene e sul male che spalanca l’abisso: verso il basso per Ivan, verso l’alto per Alëša.

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